15 settembre 2013

L'origine della crisi finanziaria statunitense

di Tommaso Andreoli

La crisi che ha interessato i mercati finanziari dei paesi maggiormente sviluppati, e che gli esperti hanno indicato come la più grave dal dopoguerra, trae origine nell’agosto del 2007 dal segmento dei mutui immobiliari statunitensi: i cosiddetti subprime.

Nonostante il complesso scenario economico rimanga ancora oggi tutt’altro che di semplice lettura, è comunque possibile, in estrema sintesi, giungere a evidenziare quattro elementi di tipo strutturale e comportamentale, la cui interazione ha di fatto innescato lo scoppio della crisi:
  1. una politica monetaria che la Federal Reserve (Fed), la banca centrale americana, ha per lungo tempo perseguito, mantenendo bassi i tassi di interesse a breve termine;
  2. l’eccessivo trasferimento del rischio di insolvenza a soggetti terzi da parte di istituti finanziari mediante prodotti ad hoc che facilitassero l’espansione del credito;
  3. l’inefficace e lacunosa regolamentazione delle istituzioni finanziarie;
  4. l’errata valutazione da parte delle società di rating circa le rischiosità legate alle attività finanziarie.
Nel periodo che va dal terzo trimestre 2001 al primo trimestre 2005, la Fed fissò tassi di interesse nominalmente bassi per attutire l’impatto recessivo dovuto all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre e allo scoppio della bolla dot.com. Tale provvedimento - unito alla precisa volontà del governo statunitense di dare concretezza allo slogan «Una casa per tutti» e consentire anche ai cittadini delle fasce meno abbienti d'essere possessori di una casa (nel 2003 venne approvata la legge American Dream Downpayment Act che introdusse un sussidio federale all’acquisto di case interamente finanziate con i prestiti) - diede un forte impulso all’espansione degli impieghi delle banche, in particolare nel settore immobiliare.

A tal proposito risulta significativo notare la crescita dei volumi dei mutui residenziali concessi negli Stati Uniti, che dal 2000 al 2006 quasi raddoppiarono il loro ammontare fino a giungere a 11.000 miliardi di dollari, di cui 6000 miliardi risultavano cartolarizzati. È necessario altresì ricordare che nel mercato statunitense questi mutui si dividono in quattro categorie: i) Agency; ii) Jumbo; iii) Alt-A; iv) Subprime.

Le prime due tipologie vengono concesse a persone considerate «affidabili»; la terza a creditori che lo sono di meno; mentre la quarta e ultima categoria viene concessa a mutuatari poco «bancarizzabili», vale a dire con un’elevata probabilità di insolvenza (spesso si dice con basso merito di credito). La concessione di mutui subprime avvenne anche attraverso la particolare formula dei cosiddetti contratti NINJA (No Income, No Job, No Asset), e grazie appunto alla modifica della regolamentazione dei mutui ipotecari da parte delle amministrazioni democratica e repubblicana, rispettivamente sotto la Presidenza Clinton e quella Bush, che si servirono dei noti istituti Freddie Mac e Fannie Mae (1) per favorire la concessione di finanziamenti.

Dal punto di vista delle condizioni contrattuali, i mutui subprime sono generalmente caratterizzati da:
  • rapporto tra ammontare del prestito e valore dell’immobile (loan-to-value ratio o LTV) uguale o persino al superiore al 100%;
  • tasso variabile (Adjustable Rate Mortgages);
  • tasso definito “allettante” (teaser rate), chiamato così perché molto basso per i primi due o tre anni e successivamente destinato a incrementare per via della revisione delle condizioni contrattual (reset).
A regime, i mutui subprime furono tutt’altro che alla portata di chi li accese. Questi erano infatti caratterizzati in media da tassi più alti di quelli destinati a clienti primari. Nonostante ciò, gli intermediari finanziari specializzati in mutui (le finanziarie e mortgage brokers) e le banche commerciali in qualità di mortgage originators hanno addirittura venduto mutui subprime a questi ultimi, adottando spesso pratiche di offerta insistenti, talvolta aggressive, al limite della legalità.

La valutazione del merito di credito è stata in genere molto approssimativa, con concessione di mutui di tipo low doc e no doc, ossia basati su scarsa e totale assenza di documentazione. Si è calcolato che all’incirca il 50% dei mutui subprime sono stati effettuati da mortgage brokers, intermediari che non erano soggetti alla supervisione della vigilanza e scarsamente regolati dai singoli Stati, incentivati nella loro vendita da forti guadagni.

La costante immissione di liquidità nel sistema bancario aveva, tra gli altri, l’obiettivo di espandere il credito al consumo, così da favorire una maggiore capacità di spesa pro capite e di riflesso una crescita delle aziende e dell’intero sistema americano. La politica creditizia alimentò dunque una politica del debito, che portò le famiglie americane a investire sempre di più in beni di consumo e immobili, aumentando fino all’eccesso il loro livello di indebitamento.

Dal 2001 al 2006 al lievitare del prezzo delle case si è nel contempo assistito alla crescita dell’indebitamento, con conseguente peggioramento della qualità del credito; quest’ultimo ha necessitato di un ricorso sempre maggiore al trasferimento del rischio di credito al mercato attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti finanziari detti prodotti strutturati, concepiti appunto per spostare verso creditori terzi gli alti rischi di insolvenza.

Un tipico esempio di questa classe di prodotti sono gli Asset Backed Securities (ABS), vale a dire titoli obbligazionari emessi a fronte di un portafoglio di crediti costituito da prestiti, bond, mutui o altre attività finanziarie. In altre parole, alcuni dei crediti che la banca ha concesso a suoi clienti vengono in qualche modo «impacchettati» e ceduti a una società esterna detta Special Purpose Vehicle (SPV) - “società veicolo con un obiettivo speciale” -, che nella maggioranza dei casi è creata appositamente dalla stessa banca.

Il compito svolto dalla SPV è quello di acquistare il portafoglio crediti della banca, acquisto che viene finanziato dall’emissione di una serie di obbligazioni denominate ABS. Il rimborso ai detentori di tali obbligazioni avviene mediante il denaro ricevuto dai flussi di cassa, cioè interessi e capitale, generati dal portafoglio crediti.

In conclusione, la creazione delle SPV e l’emissione da parte loro di obbligazioni ABS ha consentito alle banche di distribuire il rischio connesso alla concessione di crediti su un numero elevato di investitori.

La liquidità generata dalla vendita del portafoglio crediti poteva così essere usata dalle banche per concedere ulteriori crediti ad altri investitori, quali famiglie e imprese, e formare un circolo virtuoso di denaro. La funzione della banca passò dall'adozione dal modello di origine e detenzione dei prestiti (originate and hold) a quello di origine e distribuzione dei prestiti stessi (originate and distribute), con i vantaggi del caso riassumibili attraverso i seguenti punti:
  • crediti concessi che risultano nei bilanci come attività rischiose, essendo ceduti alle società veicolo non devono essere più contabilizzate;
  • la somma dei crediti che possono essere concessi non dipende più dal denaro raccolto attraverso i depositi a risparmio o i conti correnti;
  • nonostante i crediti concessi aumentino, le banche possono tenere un rapporto tra depositi, crediti concessi e capitale in linea con i vincoli di rischiosità e le dimensioni del portafoglio crediti che le autorità di vigilanza impongono.
Ad acquistare gli ABS erano per la gran parte altre banche pronte a rivenderle a risparmiatori e altri investitori istituzionali. Il loro effettivo valore era tuttavia difficile da stimare, dato che gli ABS appena emessi venivano venduti in mercati cosiddetti over the counter (2). Tuttavia, gli elevati rendimenti che questa tipologia di obbligazioni prometteva e la certificazione di rischiosità considerata bassa da parte delle agenzie di rating, incentivavano gli investitori a comprare questi titoli nonostante, appunto, il loro prezzo non derivasse da contrattazioni giornaliere su mercati borsistici.

La certificazione del livello di rischiosità, chiamata nel gergo rating, che era attestata da società apposite, ha contribuito non poco al gonfiarsi della bolla finanziaria. Le banche che volevano vendere i loro prodotti non potevano che fare ricorso alle agenzie specializzate per fornire una valutazione del rischio legato agli ABS, che a posteriori è risultata del tutto errata.
Le obbligazioni ABS, emesse a fronte dello stesso portafoglio crediti non avevano tutte lo stesso livello di rischio. Apprestiamoci dunque a spiegare più in dettaglio il funzionamento del meccanismo meglio noto
come cartolarizzazione.


Il trasferimento del rischio

Punto di partenza sono i derivati di credito, cioè strumenti che, come detto, permettono il trasferimento del rischio di credito, rappresentato dalla probabilità che un debitore non sia in grado di far fronte ai pagamenti (interessi e capitale).
I casi che si presentano sono in genere due:
  1. quello in cui un intermediario ha acquistato un’obbligazione (in tale situazione si può facilmente trasferire il credito vendendo il titolo);
  2. quello in cui un intermediario ha concesso un mutuo a un investitore che può essere una famiglia o un’impresa.
Tale credito non può essere ceduto tramite la vendita. Ecco perché si ricorre all’utilizzo dei Credit Default Swaps (CDS). In questa situazione, il trasferimento del rischio di credito avviene mediante l’acquisto da parte dell’intermediario A (acquirente della protezione dal rischio di default) di un titolo che obbliga il soggetto B (venditore della protezione) a farsi carico delle eventuali perdite da fallimento del debitore dell’intermediario A (debitore di riferimento). Chi acquista la protezione paga un premio (spread) a B per ricevere; in caso di fallimento del debitore di riferimento C, l’intero debito (vedi Figura 1 in basso). Da notare la seguente differenza: nel caso dell’obbligazione chi si prende il rischio deve acquistare l’obbligazione spendendo molto denaro; invece, nel caso dei CDS, ci si può assumere un rischio equivalente senza spendere nulla alla data attuale. Questo è il motivo per cui il mercato dei CDS è notevolmente cresciuto.

Figura 1: Schema del trasferimento di rischio
Il meccanismo illustrato si collega bene al processo di cartolarizzazione. Un esempio può aiutare a chiarire le idee.

A fronte di un portafoglio di titoli di credito, nella fattispecie rappresentati da mutui per un valore complessivo di $100 milioni, la SPV emette tre tranches di ABS, la cui scadenza è a 5 anni: la tranche equity, la tranche mezzanine e la tranche senior, i cui valori nominale sono pari rispettivamente a $5, $20 e $75 milioni, mentre i tassi di rendimento sono rispettivamente 30%, 10% e 6%. Chi acquista una tranche si assume l’impegno di coprire parte delle perdite dell’eventuale fallimento dei mutui sottostanti, in analogia al caso del soggetto B nel CDS. I pagamenti che affluiscono al portafoglio vengono canalizzati verso le tre tranche mediante un insieme di regole detto a «cascata». Tali pagamenti vengono per primi utilizzati per corrispondere agli investitori della tranche senior il tasso del 6% loro promesso. Se è possibile, vengono successivamente utilizzati per corrispondere ai possessori della tranche mezzanine il tasso del 10%, e, infine, sempre se possibile, per corrispondere agli investitori della tranche equity il tasso del 30%. Nel caso in cui si verifichino insolvenze, i primi a subirne le conseguenze saranno gli investitori della tranche equity. Il loro tasso di rendimento diverrà inferiore al 30%, con probabili perdite in conto capitale. Successivamente, se le insolvenze dovessero essere numerose, saranno gli investitori della tranche mezzanine a subire un decremento del loro tasso di rendimento e così anche per quelli che avevano acquistato la tranche equity.

La procedura di cartolarizzazione veniva implementata in modo tale da attribuire il rating più alto (AAA) alla tranche senior. Tale meccanismo permetteva alla SPV di poter vendere facilmente questo tipo di tranche a investitori istituzionali come i fondi pensione, per esempio, che potevano da regolamento investire in attività finanziarie con il massimo livello di qualità creditizia. La tranche equity spesso rimaneva nei bilanci della banca così da guadagnarsi la fiducia del mercato, segnalando che la parte più rischiosa del prodotto non era in vendita, se non per investitori, come gli hedge funds, la cui propensione al rischio è per loro natura molto elevata. La tranche mezzanine, la parte più difficile da collocare, subiva nuovamente un processo simile a quello descritto nell’esempio precedente, permettendo così ancora una volta di riprocedere alla generazione di titoli con rating ancora migliore a partire da un portafoglio di titoli rischiosi.

I vantaggi che la cartolarizzazione porta agli investitori sono legati:
  1. alla diversificazione del rischio, la quale deriva dalla acquisizione di una partecipazione in un pool di crediti;
  2. alla possibilità di possedere prodotti che, tramite il procedimento della suddivisione in tranche, avevano rischi e rendimenti differenti.
Il principio di diversificazione del rischio entra in gioco nel momento in cui i mutui vengono «impacchettati»; la suddivisione in tranche ha invece agevolato l’offerta di prodotti finanziari adatti sia a investitori più propensi al rischio sia a quelli che lo erano in minore misura, allargando nel contempo la possibilità di acquisire obbligazioni con elevati tassi di rendimento, che quindi pagavano cedole più alte rispetto ai bond governativi a parità di rating con tripla A.


Conclusione

In sostanza, l'errata valutazione del rating creditizio di questi prodotti ha fatto sì che si innescasse un meccanismo tramite il quale gli investitori possedevano, a loro insaputa, titoli certificati secondo un livello di rischiosità che in realtà non era quello effettivo. Nel momento in cui il mercato immobiliare e i prezzi delle case cominciarono a contrarsi, dunque un crescente numero di mutuatari iniziò a saltare il pagamento delle rate dei mutui, i flussi di cassa che avrebbero dovuto alimentare l'acquisto delle tranche e il pagamento degli interessi ai sottoscrittori di queste ultime venne meno. Le conseguenze della rottura di questo meccanismo furono devastanti. La rete di compravendita tra i vari investitori, che come detto erano per la gran parte le banche stesse, venne a recidersi  proprio a seguito del fallimento del colosso Lehman Brothers - allora quarta potenza bancaria statunitense -, contagiando tutti i partecipanti al "gioco" e trascinando dietro di sé perdite di ricchezza enormi.

Dopo che il mondo intero ha pagato e ancora oggi continua indirettamente a pagare le conseguenze di questa catastrofe finanziaria, le domande che a molti sorgono spontanee sono: abbiamo imparato qualcosa da ciò che è accaduto? Possiamo davvero ritenerci al sicuro e pensare che una crisi del genere non possa più ripresentarsi?




(1) Fannie Mae è il nome comune della Federal National Mortgage Association; Freddie Mac è il nome comune della Federal Home Loan Mortgage Corporation.

(2) Tale termine nasce dall’abitudine che vi era in passato di trattare affari nei dintorni di Wall Street. Spesso, infatti, le trattative avvenivano sul bancone dei bar (over the counter, appunto). La negoziazione si riferiva a titoli che non erano presenti nei circuiti ufficiali di Borsa. Oggi tali tipi di contrattazione avvengono via telefono o in maniera telematica.

0 commenti :

Posta un commento